Capire cosa si intende per materiale biodegradabile è molto importante per riuscire ad avere un atteggiamento davvero green, rispettando l’ambiente e, se sei gestore o proprietario di attività pubbliche, per non incorrere in sanzioni.

Con materiale biodegradabile si intende ciò che in condizioni ambientali naturali, grazie all’azione di agenti biologici quali sole, acqua, batteri, piante o animali, è in grado di dissolversi negli elementi chimici di cui è composto.

Questo processo di decomposizione trasforma materiali biodegradabili in nutrienti naturali per il terreno, diossido di carbonio, acqua e biomassa, o, in altre parole, il materiale biodegradabile si trasforma in anidride carbonica e acqua.

Oggi i materiali biodegradabili sono molti:

•    carta e cartone;
•    bagassa;
•    PLA;
•    CPLA;
•    mater-bi;
•    legno di betulla;
•    foglia di palma.

I più comuni e che di sicuro non hanno bisogno di essere ottenuti mediante avanzate tecnologie produttive, sono carta e cartone. Oltre ad essere biodegradabili, sono 100% riciclabili (se non trattati) fino a 10 volte. A seconda della loro composizione impiegano da 1 a 12 mesi per la biodegradazione, fregiandosi, in alcuni casi, anche della qualifica di compostabili. Su questo, però, ci soffermeremo meglio più avanti.

Biodegradabili sono anche i biomateriali come PLA, CPLA, bagassa, mater-bi e altri materiali particolarmente indicati per la fabbricazione di posate e stoviglie grazie al risultato levigato ottenuto dalla loro lavorazione.

Qual'è la differenza tra biodegradabile e compostabile

La varietà di materiali ecologici è oggi tanto ampia da trarre in confusione. Partiamo da una distinzione basilare: qual’è la differenza tra biodegradabile e compostabile.
Premettiamo che biodegradabile e compostabile non significano esattamente la stessa cosa.

Entrambi i materiali, biodegradabili e compostabili, si degradano fino a scomporsi nei loro elementi chimici, ma con una differenza.

La biodegradazione è un processo naturale e di durata variabile, mentre il compostaggio avviene in ambiente dalle condizioni particolari, adatte ad accelerare il processo di degradazione fino ad ottenere concime organico.

Da questa distinzione otteniamo i parametri che ci permettono di definire la differenza tra biodegradabile e compostabile:

•    tempi di degradazione;
•    processo;
•    materiale residuo.

L’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development) ha elaborato le linee guida per stabilire i parametri di biodegradabilità e compostabilità e la relativa differenza.
Grazie ad esse comprendiamo la differenza e classifichiamo i materiali con estrema chiarezza e con maggior precisione possiamo dire che un materiale è definito biodegradabile se si disintegra del 90% entro 6 mesi.
Per meritare la definizione di compostabile, invece, deve decomporsi totalmente in meno di 3 mesi.

Esistono anche materiali altamente performanti in ambito ecologico. Sono quelli rapidamente biodegradabili, che interessano tutti i prodotti che dimostrano di avere almeno il 60% di biodegradabilità in 28 giorni.
 
A questo punto abbiamo chiarito abbastanza le idee sulla differenza tra questi diversi tipi di materiale per poter affermare che un compostabile è sempre biodegradabile, ma non è detto che un biodegradabile sia anche compostabile.
Così abbiamo, per esempio, materiali come la carta e il cartone che sono biodegradabili, ma non sempre compostabili e plastiche che, invece, assolvono ad entrambe le funzioni.

Che significa non biodegradabile

Tutt’altro significa la definizione “non biodegradabile”.
Un materiale non biodegradabile non può decomporsi in alcuna sostanza organica, né in modo naturale, né in modo artificiale. Esso rimane immutato nei mesi, negli anni e riesce a sopravvivere anche millenni, dimostrandosi una grave minaccia per l’ambiente.

Ciò che non è biodegradabile, ovvero che non può essere decomposto da organismi naturali, è destinato ad essere una fonte d’inquinamento per il nostro pianeta.
La gestione di questo tipo di rifiuti è molto complessa, perché destinata a non scomparire e a non trasformarsi.
Proprio gli innumerevoli danni ecologici già causati dai materiali non biodegradabili costituiscono la spinta contemporanea alla ricerca di tecnologie sempre più avanzate nella produzione di materiali biodegradabili e nella definizione di linee guida efficaci nello smaltimento dei rifiuti.

Una grossa criticità è rappresentata oggi dalle immense quantità di plastica che nel tempo si sono riversate soprattutto negli oceani, degradando l’habitat marino e minando la vita di pesci e altri esseri acquatici.
Plastica, lattine e metalli sono, inoltre, una delle cause più frequenti di inquinamento di aria e suolo, risultando così minacciosi per la nostra salute.

Da ciò deriva la necessità di sostituire i non biodegradabili con alternative come la bioplastica e altri materiali facilmente degradabili, rivoluzionando il mondo del packaging,  degli imballaggi e di stoviglie e posate comunemente utilizzati soprattutto nell’asporto.

Quali sono i rifiuti non biodegradabili

Impariamo, ora, ad evitare tutti i rifiuti non biodegradabili. Per farlo dobbiamo sapere quali sono.

Soffermiamoci sui più comuni, quelli che incontriamo ogni giorno, fin troppo frequentemente, nella nostra vita:

•    materie plastiche;
•    fibre sintetiche.

Questi materiali, oltre a non costituire rifiuti biodegradabili, non sempre sono riciclabili.
In tal proposito analizziamo la differenza tra termoplastiche e plastiche termoindurenti.
Le prime sono riciclabili attraverso un processo di fusione ad alta temperatura e successivo raffreddamento per riacquistare rigidità con la nuova forma acquisita in seguito alla trasformazione. A questa categoria appartengono più tipi di plastiche identificate con un codice da 1 a 6:

•    PET (polietilene tereftalato), codice identificativo 1;   
•    HDPE (polietilene ad alta densità), cod. 2;
•    PVC O V (cloruro di polivinile), identificato col numero 3;
•    LDPE (polietilene a bassa densità), cod. 4;
•    PP (polipropilene), indicato dal numero 5;
•    PS (polistirene o polistirolo), col numero 6;

Le termoindurenti, invece, non sono ovviamente biodegradabili e non possono essere fuse senza andare incontro a carbonizzazione. Ciò ovviamente ne impedisce la riciclabilità. In termini di smaltimento dei rifiuti esse vengono definite come “altre plastiche”.

Anche i materiali sintetici, non biodegradabili, vengono riciclati solo parzialmente attraverso processi di fusione e raffreddamento.

Quando abbiamo a che fare coi rifiuti, dobbiamo tenere in considerazione il loro ciclo di vita. La porzione di plastica riciclabile riguarda gli imballaggi, come bottiglie, flaconi, piatti e bicchieri, vaschette, barattoli. Al contrario non possono essere riciclati gli oggetti come giocattoli, utensili, tubi, penne, pennarelli, spazzolini da denti, posate e molti altri che non hanno funzione di imballaggio.

Come possiamo verificare se un rifiuto è biodegradabile

La possibilità di verificare se un rifiuto è biodegradabile è un grande passo avanti in termini di civiltà. Rende tutti più consapevoli e partecipi della causa globale del benessere ambientale.

Dalla sua etichettatura, possiamo verificare se un rifiuto è biodegradabile, compostabile o semplicemente riciclabile.

Esiste una simbologia valida in tutta l’unione Europea per identificare i prodotti realizzati in materiale a basso impatto ambientale. Si basa su criteri che tengono conto di tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla realizzazione allo smaltimento.

Le etichette sui prodotti indicano se sono stati realizzati impiegando materiali ricavati da risorse naturali rinnovabili. È il caso di legno, carta, cartone, amido di mais e altri materiali di origine vegetale.
In questo modo l’acquisto di qualsiasi prodotto ecocompatibile, dai fazzoletti di carta ai bicchieri biodegradabili, dagli shopper alle cannucce, risulta facilmente riconoscibile.

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